lunedì 9 novembre 2015

Looper: Tradire sé stessi



Nell’anno 2074 i controlli sulle persone, tra microchip di riconoscimento satellitare ed altre nuove tecnologie, saranno così pressanti che far ‘sparire’ un corpo risulterà un’impresa pressoché impossibile. Quando a Kansas City i gangster vogliono mettere la parola fine alla vita di qualcuno, lo rapiscono e lo spediscono indietro nel tempo di 30 anni, facendolo così letteralmente ‘svanire’ nel nulla, senza più un corpo da smaltire, di cui preoccuparsi.
Nel 2044, ad attendere in un luogo specifico la comparsa del malcapitato di turno (sempre legato ed incappucciato, e con addosso la commissione) c’è un looper, un killer che non deve far altro che sparare alla persona che compare, ed intascarsi la paga in lingotti d’argento che gli troverà addosso. Un lavoro facile quindi, ma che comporta un caro prezzo da pagare.
Ogni looper sa bene che prima o poi, per mantenere la totale segretezza dell’operazione, dovrà chiudere il suo stesso loop, ossia un giorno, quando egli sparerà all’ennesima vittima incappucciata, trovandogli addosso però una commissione in argento molto più grande del normale, il looper capirà di aver appena sparato al sé stesso di 30 anni da ora.
Egli quindi saprà di avere ancora esattamente 30 anni da vivere, da quel preciso istante.
Joe è un looper, è ricco per via delle commissioni, e questo accordo gli sta bene. Un giorno però Seth, un altro looper e suo migliore amico, si lascerà sfuggire il proprio loop, dando inizio così ad una cruda catena di eventi.

Looper è una pellicola del 2012 scritta e diretta da Rian Johnson che ho sempre caldamente raccomandato ad amici e parenti e che, se vi piace la fantascienza, consiglio davvero anche a voi!



Dotata di un cast d’eccezione, avendo come protagonisti Joseph Gordon-Levitt e Bruce Willis, nonché la bellissima Emily Blunt (forse il volto femminile che al momento mi piace di più nel grande cinema, fuori da poco in Sicario), Looper ci presenta un contesto già usato molte volte nel campo dello sci-fi, ossia i loop temporali, ma lo fa in un contesto originale, confezionando un film che funziona. Non voglio anticipare nulla, ma la narrazione prenderà delle pieghe inattese, dinamiche, a differenza di altri film che spiegata la trama principale poi procedono su binari, in Looper vi è più di una simpatica trovata. E’ fuor di dubbio che l’argomento sui viaggi nel tempo sia sempre ‘spinoso’, e che, a volerceli trovare, ci si possa sempre imbattere in discontinuità di trama e inesattezze, ma anche in questo campo, esistono film palesemente stupidi e che ‘sbagliano’ mentre altri che si mantengono su scenari credibili, lavorando comunque con una scienza (che è FANTAscienza) di per sé non esatta, e devo dire che Looper appartiene a questa seconda categoria: è un film mediamente ben ponderato.

Tantissime le scene d’azione (non vi fosse bastato Bruce Willis tra i nomi) ma tra uno sparo e l’altro si fa lavorare anche il cervello, a riconferma di come negli ultimi anni la fantascienza d’azione abbia rialzato la testa, proponendoci pellicole come Elysium, Oblivion, Edge of Tomorrow a parer mio tutte valide, seppur in maniera differente. Looper è forse il meno ‘futuristico’ tra tutti quelli citati, in quanto il Kansas che ci viene proposto a trent’anni da ora non presenta astronavi, fucili laser o persone in armatura meccanizzata, ma semplicemente un inizio di futuro degradato, un po’ in stile cyberpunk, con una vita simile a quella che viviamo noi oggi, sporcata però da elementi di un futuro contorto, ‘sbagliato’, e che non è andato per il verso giusto.
A mio avviso, un’ambientazione molto buona.
Non mi dilungo oltre, nel consigliarvi questo ottimo lavoro in campo action, che sono certo saprà occupare a dovere una delle prossime serate che decidere di dedicare al culto del video. 

Appagante.


sabato 31 ottobre 2015

Blindness: Il mondo al tatto



Nel mondo dei ciechi, l’uomo con un occhio solo è Re.

Questo vecchio detto lo si può trovare in varie forme (Anche l’orbo è Re nel paese dei ciechi, eccetera) e vorrebbe essere una metafora per dire che anche chi ha poco, può comunque ritenersi fortunato rispetto a chi comunque ha meno di lui, ma oggi, parlando del film Blindness, prenderemo questo proverbio semplicemente alla lettera.

Un uomo, alla guida della sua auto, improvvisamente si fermerà, scatenando l’ira della coda di automobilisti dietro di lui. Scesi a contestargli l’ingorgo, le persone però si accorgeranno che l’uomo non ci vede più, dichiarando di essere diventato improvvisamente cieco.
Ma sarà solo l’inizio.
Tutte le persone venute a contatto con lui, nel giro di pochi giorni inizieranno anch’esse a perdere la vista, con un disturbo che ha la peculiare caratteristica di presentarsi come un chiarore uniforme e perenne, che impedisce di vedere, e che presto acquisirà il nome di Cecità Bianca.
Questa malattia inizia a spaventare, e vengono prontamente allestiti dei campi di quarantena dove confinare le persone colpite, al fine di tenerle isolate dalla popolazione perché non diffondano in maniera incontrollata il contagio. Quando un uomo verrà prelevato a casa dalle autorità, in tute anti-contagio per essere condotto in uno di questi campi, anche la moglie si farà portare con lui, fingendosi cieca. Prima o poi sarà destinata a prendere la malattia anche lei, quindi non ha senso aspettare ed essere separata dal marito, e quindi si consegna, rassegnata.
Il problema è che, con il passare dei giorni, la donna non si ammalerà mai, sarà l’unica persona vedente all’interno di un ospedale riattrezzato come campo d’accoglienza, vivendo in un vero e proprio microcosmo di persone cieche, che via via diventerà un luogo sempre più pericoloso ed inospitale. Lei però, dalla sua parte, ha l’arma più potente di tutte: ci vede ancora, e nessuno lo sa.



Questo interessante film è una variante sul tema delle pellicole di stampo epidemico.
Quando vediamo un film del genere noi pensiamo sempre ad una rielaborazione della peste nera, una malattia implacabile di qualche tipo, sporca e sanguinosa nel suo sterminio, non pensiamo mai ad un virus che non uccide, ma che semplicemente ‘debilita’. Ma in Blindness è proprio questo il caso, la malattia non uccide nessuno, toglie semplicemente alle persone la vista e, forse, la cosa è ancora più spaventosa.

Il soggetto è tratto dal romanzo del 1995 Cecità di José Saramago, uno scrittore premio Nobel per la letteratura tre anni più tardi. Il film è ad opera di Fernando Ferreira Meirelles, e debuttò come film d'apertura al Festival di Cannes del 2008. In tutta onestà non credo sia però così famoso, e secondo me è un peccato. Il soggetto è veramente interessante, il film è ben confezionato, nella forma e nel contenuto e ci presenta un Mark Ruffalo ed una Julianne Moore in due ruoli molto sentiti, lo si vede chiaramente dalla loro recitazione e dall’emozione che trasmettono, soprattutto quest’ultima, a parer mio strepitosa.

Con Blindness si prende un concetto tutto sommato semplice come quello della deprivazione sensoriale (nel 2011 ce lo riproporrà anche Perfect Sense con la splendida Eva Green, realizzando un film tutto sommato godibile) e, invece di farne un film drammatico e personale su una vicenda magari famigliare di una persona che perde la vista, lo si estende ad un livello molto più ampio, di un virus con annessa pandemia estesa, confezionando un film che, a parer mio, funziona molto bene. 

E’ una di quelle visioni in grado di scatenare il pensiero del ‘..se capitasse davvero’ e che, di conseguenza, coinvolge.
Davvero consigliato, nel caso vi fosse sfuggito.


mercoledì 28 ottobre 2015

The Last Ship: Una sola nave contro il mondo



Tra il 2004 e il 2009 mi sono davvero goduto Battlestar Galactica, una serie TV spaziale che a parer mio traeva il suo maggior punto di forza dalla sua impostazione molto orientata verso l’aspetto militare, con questa nave, il suo capitano e l’equipaggio in grado di coinvolgere lo spettatore con le sue procedure, l’approccio tattico al combattimento, gli ordini urlati a squarciagola.
Mi è sempre mancata un’altra serie così coinvolgente, a livello di nave ed equipaggio.
Recentemente ho però scoperto The Last Ship, una serie particolarmente nuova, del 2014, che mi ha davvero molto ricordato Battlestar Galactica in più di un aspetto, nonostante l’argomento trattato e l’ambientazione siano decisamente diversi. La serie gode per il momento di 2 stagioni, ed è già stata rinnovata per una terza in uscita per l’estate 2016.

Dopo una pandemia virale di portata mondiale che ha spazzato via l’80% della popolazione, il cacciatorpediniere Americano USS Nathan James ritorna da un silenzio radio di diversi mesi, ignaro di tutto quanto, perché era impegnato in una missione di test nell’Artico a comunicazioni spente, appena conclusasi. Quello che si ritroveranno di fronte gli uomini e le donne dell’equipaggio, 218 persone, sarà un mondo devastato da un’epidemia violentissima, a cui loro sono scampati solo grazie all’isolamento in mare aperto. La ricerca di una possibile cura, il contattare le proprie famiglie, o il semplice rifornirsi di carburante e cibo dopo una missione tanto lunga, ora che mancano i porti sicuri, diverranno le loro nuove priorità.

Una catastrofe enorme, una sola nave, un equipaggio che deve riuscire a cavarsela, e l’ignoto attorno a sé (tanto l’oceano quanto lo spazio, per me molto simili) sono tutti elementi che, capirete, possono avermi ricordato molto Battlestar Galactica. Ed è una cosa che attendevo da anni.



The Last Ship ha davvero molte frecce al suo arco. Prima di tutto, vi stupirà anche solo per il semplice aspetto realizzativo, io personalmente dopo il primo episodio ero esterrefatto pensando anche solo ai costi di produzione. Va bene che dietro c’è quel pazzo di Micheal Bay alla produzione, ma abbiamo un vero cacciatorpediniere in movimento, elicotteri che atterrano e decollano sul serio, altre navi organizzate per sembrare scampate all’apocalisse…certamente non un budget da Serie TV spicciola. Ma anche i contenuti, ci tengo a dirlo, non sfigurano di fronte alla maestosità della messa in opera. Abbiamo trame, svolgimenti e colpi di scena gestiti intelligentemente, secondo uno script plausibile, ed anche tutta una serie di personaggi interessanti. Prima di tutto c'è il Comandante Tom Chandler, alla guida del suo equipaggio, che è il bravo attore Eric Dana, capace di uscire dal ruolo del soldatino impettito che sarebbe davvero stato un rischio mettere alla guida di una serie TV, ma presentandoci invece un uomo, una persona che ha un comando sotto di sé e che deve apparire incrollabile, ma che in realtà non lo è, perché è pur sempre un marito ed un padre che non sente la sua famiglia da mesi, come tutti. Da segnalare anche la sempre splendida Rhona Mitra, ed una piacevolissima sorpresa quale Adam Baldwin, il caro Jayne di Firefly, in un ruolo di spessore.

Volessimo affibbiare un difetto a The Last Ship (ma che sinceramente non mi ha disturbato ‘troppo’) è che è uno show Americano sin nel midollo. Però lo si può anche comprendere. I protagonisti sono 200 marines ai quali, per non impazzire, non rimane altro da fare che concentrarsi sul lavoro, sul loro affiatamento ad esso, e alla morale Americana, quindi volendo lo si può considerare anche un aspetto di trama necessario. Fatto sta che in più di un’occasione i nostri amici usciranno da qualche situazione in maniera un tantino troppo 'splendida', comunque, ripeto, è sorvolabile.

In definitiva, se i film catastrofici, con epidemie o apocalissi solitamente vi intrattengono, e siete alla ricerca di un’esperienza più ‘lunga’ quale potrebbe essere una serie TV, The Last Ship potrebbe proprio fare al caso vostro. E’ uno show denso di azione, combattimenti, che calca molto sotto l’aspetto militare, ma che non affronta nessuno dei suoi temi con leggerezza o stupidità ma, anzi, per ora ha presentato scenari piuttosto plausibili.
Intrattiene a dovere.


lunedì 26 ottobre 2015

Dredd: Sei Stato Giudicato



In una terra devastata dal conflitto nucleare, l'umanità si trascina per sopravvivere, e quella parte di essa che ancora vorrebbe esserne la facciata 'civilizzata' vive in enormi agglomerati urbani, tentando di imitare la vita di un tempo. Mega City One è uno di questi agglomerati, dove vivono più di 800 milioni di persone e la criminalità, ovviamente, è dilagante. L'unico spiraglio di luce in mezzo al caos quotidiano è il palazzo di giustizia e i suoi Guidici, agenti di polizia in grado di poter essere all’occorrenza sia giuria che esecutori materiali delle condanne, per ogni genere di misfatto.
Il Giudice Joseph Dredd è un veterano, e verrà affidata alle sue cure una recluta, Cassandra Anderson, molto interessante per il comando centrale per via dei suoi notevoli poteri telepatici, che alcune persone hanno acquisito per via delle radiazioni e che nella ragazza sembrano particolarmente sviluppati.
I due riceveranno una chiamata: a Peach Trees, sconfinato edificio popolare di 200 piani, vengono rinvenuti tre cadaveri, potrebbero avere a che fare con la nuova droga che si sta diffondendo per le strade: la Slo-Mo.

Premetto che non interessandomi di fumetti, tutta la mia conoscenza su Dredd deriva dal film del 1995 con Sylvester Stallone, una pellicola della quale sinceramente non mi interessano i commenti negativi, con tanto di Razzie Awards vinti come peggior film dell'anno (premi che spesso mi hanno invece fatto scoprire delle vere e proprie perle) perché a parer mio, è semplicemente un gran buon film. Un esempio di quella fantascienza dai toni ‘duri’ che bisognerebbe vedere più spesso. 

Nel Dredd con Karl Urban, del quale vi parlo oggi, ho rivisto lo stesso identico approccio al genere: una fantascienza action cupa, dura, sanguinosa: un altro bel film incazzato.
La pellicola non è un ‘remake’ se state pensando questo, in quanto tutta la trama e la vicenda sono completamente diverse da quelle del film anni ’90.
E’ semplicemente una nuova opera tratta dall’ambientazione del fumetto, una diversa avventura ambientata a Mega City One.



Come action spensierato, questo film è da consigliare senza indugi.
Molte cose funzionano infatti, in questo Dredd. Abbiamo un livello di violenza altissimo, con sparatorie, sangue ed esplosioni che conquisteranno il fan dell'action e lo terranno incollato allo schermo dall'inizio alla fine, il tutto ad opera di un affiatato duo di protagonisti, Dredd ed Anderson, che mi sento di dire funziona davvero bene, ma oltre a questa coppia di protagonisti che ci si diverte a seguire, una nota di merito mi sento di darla anche al cattivone di turno, tutt'altro che banale: una quasi irriconoscibile Lena Headey, certamente più vicina al suo ruolo da action woman dal grilletto facile di The Sarah Connor Chronicles che alla regina dai boccoli biondi del Trono di Spade.
Karl Urban, giustamente duro ed inespressivo, è davvero perfetto nel ruolo di Dredd.

Dredd è un film semplice, un action senza pretese, ma fa di questa sua genuina semplicità il suo punto di forza. Ha il pregio di non essere realizzato con l’estrema leggerezza della stragrande maggioranza degli action di oggi in stile moderno, che spesso non mi dicono niente, ed invece, un po’ come si faceva una volta, è capace di prendersi del tempo anche per ‘elaborarla’ un attimo, tutta questa azione.

A fine visione potrebbe rimanervi, come è rimasta a me, la voglia di potervi gustare ancora in futuro un nuovo violento caso dei giudici Dredd ed Anderson, ma pare che la cosa non sia destinata ad accadere, nonostante le numerose campagne spontanee come Make a DREDD sequel che, a suo tempo, raccolsero molte firme e fecero ben sperare, con promesse poi disattese.
Il mio consiglio comunque resta invariato, un viaggio, seppur di sola andata, a Mega City One vale assolutamente la pena di essere fatto.
I fan dell'action non se ne pentiranno.


sabato 24 ottobre 2015

MacGruber: Sventare attentati con le natiche al vento



Ogni tanto è bello anche stare leggeri e godersi un film divertente dotato di un livello intellettuale richiesto pari a quello di un comodino, e nulla corrisponde meglio a questa descrizione del film di cui sto per parlarvi ora.

Siamo nella Siberia orientale. Un cattivissimo gruppo di criminali, capitanati dal terrorista Dieter Von Cunth uccidono tutti gli uomini di scorta ad un convoglio Sovietico e si impossessano del missile nucleare che trasportavano. E’ allarme rosso alla Casa Bianca.
Solo un uomo può salvare la situazione, il suo nome è MacGruber.
Creduto morto da oltre 10 anni, ex-berretto verde, marine e ranger, egli ora si trova in ritiro spirituale in un monastero dell’Ecuador, deciso a rinunciare ad ogni forma di violenza, ma il colonnello Faith verrà inviato sul posto, per fargli cambiare idea. MacGruber deve tornare in azione per forza, è il vero eroe Americano, l’unico in grado di salvare il mondo dalla follia di Cunth, l’uomo giusto per sventare questa crisi.
Peccato che sia anche un coglione incredibile.

Fidatevi quando vi dico che con MacGruber si vola davvero bassi, ma che nel farlo si ride dall’inizio alla fine.



Questa action comedy del 2010 diretta da Jorma Taccone, è nata in seguito ad uno sketch che lo stesso Taccone ideò per il Saturday Night Live riscuotendo un gran successo, e che si prendeva gioco di una delle serie più famose (ed inverosimili) di tutti i tempi: MacGyver.
La pellicola, con un perfetto mix tra questa serie ed altri prodotti del calibro di Hot Shot ci presenta un protagonista che è una vera sagoma, MacGruber, un personaggio stupidissimo (interpretato da Will Forte) ma circondato da persone tutto sommato ‘normali’, che non fanno altro quindi che esaltarne la stupidità.
E’ una commedia ‘vecchio stile’, con un umorismo che spazia dal volgare (ma senza esagerare troppo) al demenziale puro, e lo fa con un cast d’eccezione, sfoggiando il cattivone per eccellenza, Val Kilmer, e la simpatica Kristen Wiig nell’ovvio ruolo dell’agente femmina collega di Mac, che verrà inevitabilmente predata dal nostro eroe cascamorto.

Credo che un film di queste ‘proporzioni’ non meriti molte più parole di quelle spese fin’ora: è sciocco, ridicolo e divertente, e proprio per questo, intrattiene. Sfoggia più di qualche scena cult, che vi piacerà raccontare agli amici, e nel suo piccolo non mancano davvero buone dosi di sesso, azione e sangue.

Un’oretta e mezza di relax puro che consiglio perché, lo sappiamo tutti, ogni tanto c’è anche bisogno di film di questo calibro! Ovviamente però non confondiamo il demenziale fatto bene, con cognizione di causa, gag e una trama, con il ciarpame senza senso alla Epic Movie.
MacGruber un senso ce l’ha, che sia ben chiaro, è marrone, però è cioccolata.
Buona visione.